la cucarachita Martínez ed altri racconti di famiglia


15.11.13



Domani mattina partiranno i nonni.  Sono stati più di un mese e mezzo da queste parti, divisi tra Roma e Copenhagen (dove vive mia sorella).

Quasi dodici anni fa, quando ho preso un aereo per venire in Italia con la determinazione di non tornare più a vivere al Venezuela, non immaginavo quanto mi sarebbero mancati, quanto avrei avuto bisogno di tenergli vicino.

Soprattutto non fino a quando ho avuto figli.  Prima la distanza, per il figlio che parte, fa parte di un percorso di vita.  Ci si allontana dai genitori, si sa, prima o poi, ognuno deve trovare la propria strada anche se questa lo porterà dall'altra parte di un oceano immenso.  Ma quando si sta per avere un figlio si scopre un fortissimo richiamo ai propri genitori, un grande bisogno di loro.  Forse perché ci sentiamo emotivamente più fragili o perché sentiamo la necessità di essere rassicurati quando davanti a noi si apre una nuova prospettiva del tutto sconosciuta, ma gli vorremo vicini, presenti, partecipi di questo grande cambiamento.

I nonni sono una grande risorsa.  E non parlo solo in termini logistici o pragmatici, di quanto possano essere di aiuto in situazioni di emergenza o meno, per offrire, in molti casi, la assistenza ai bambini quando i genitori hanno determinati impegni. Sono anche una grande risorsa in termini di storia.  Un tempo, quando non esistevano i libri, o per esempio nelle culture delle popolazioni indigene, la tradizione passava di generazione in generazione attraverso i racconti dei nonni, che forse avevano più tempo e meno impegni, ma soprattutto che hanno da sempre avuto una grande voglia di raccontare e raccontarsi. E i bambini hanno da sempre avuto grande voglia di ascoltare.



A volte vorrei imprigionare tutte le parole, i ricordi, i personaggi dei racconti dei miei genitori e intrappolarli nella mia mente.  Cerco di afferrarli, di farli diventare corposi, caldi, quasi visibili.  Il tempo però fa il suo gioco sporco, e quando cerco di tornare a loro li ritrovo nebulosi, sfumati, senza contorni. Va bene così.  Vorrà dire che dovrò riascoltare le storie, catturare di nuovo i dettagli che avevo perso, ridisegnare i volti, ridipingere il paesaggio, ricomporre le emozioni trasmesse fino a quando non diventano nitide, non le faccio veramente proprie.

Ho l'impressione che ultimamente la lettura ai bambini abbia un po' sostituito  il racconto come esperienza dell'infanzia.  Non che non sia una ferrea sostenitrice della lettura ai bambini.  Anzi!.  Gli leggo eccome, tutte le sere, in maniera sacrosanta, e anche qualcosina in più.  Credo che trasmettere ai bambini l'amore per i libri sia uno dei doni più preziosi che possiamo offrirgli.  Ma la grande attenzione che negli ultimi anni si è sviluppata verso la letteratura d'infanzia ha un po' lasciato da
parte il valore della tradizione orale del racconto. 

Il racconto, a differenza della lettura, ha il valore di essere la storia imprigionata in una persona.  Non serve niente,  viene da dentro di noi.  E come nei libri senza immagini, ci lascia liberi d'immaginare tutto, di delineare i visi, i colori, gli scenari, gli odori.  E' unica perché nessuno la vede nella stessa maniera, ed è profondamente nostra perché in qualche modo anche noi ce la siamo un po' inventata.  E' la storia che entra in noi. 

Il racconto è dunque soggetto a cambiamenti, ogni persona aggiunge un tocco personale, cambiano a volte i personaggi, gli oggetti mutano, a volte si adattano ai nuovi tempi o crescono.  Ma in generale il racconto poi viene ritrovato, e nonostante il passaggio da una persona all'altra le trasformazioni sono sottili in mezzo a una struttura comune.  E dunque la storia è sempre diversa, ma in fondo non cambia. 

In questi mesi di ottobre e novembre devo dire che è stato poco il tempo per i racconti, ma ho trovato tempi e modi per far sentire ai miei bambini un racconto della mia infanzia dalla bocca di mio padre, grande narratore di storie.  Un racconto dell'infanzia di ogni bambino venezuelano credo: La cucarachita Martinez.  Ho verificato con stupore come quello che io ho sempre ripetuto ai miei figli non è cambiato quasi niente rispetto a quello raccontato da lui, nonostante siano passati tantissimi anni dall'ultima volta che lo avevo sentito.

Ho cercato di riprodurlo per iscritto, anche se è una sorta di tradimento della tradizione orale, per farvelo conoscere, e chi sa, forse ve lo ritroverete per altre strade e saprete riconoscerlo. Lo trovate qui.   L' immagine invece fa parte di una serie di francobolli del 1998 della posta venezuelana. 








4 commenti:

  1. Che tenerezza! Io non ho avuto nonni, ma mio padre quando ero piccola mi raccontava un sacco di storie, sempre diverse... perché in realtà non se le ricordava da una volta all'altra, ma anche questo è il bello di raccontarle oralmente ;-)

    Ciao!

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  2. Ciao Clyo, grazie della visita!. In realtà neanche io ho avuto nonni che mi raccontassero storie, per diversi motivi, pure a me lo faceva mio padre. Oggi sono molto felice che lo faccia come nonno, ed incredibilmente le storie sono sempre quelle.... non so come fa a ricordarle così bene!. Un abbraccio.

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  3. eh... è molto bello anche questo post. hai sicuramente il dono del raccontare, e sicuramente i tuoi figli potranno goderselo. poi credo che venendo da un'altra cultura avrai molti spunti, molte cose insolite da narrare, che magari per la adriana piccola erano quotidianità mentre per un bambino italiano di oggi saranno straordinarie. ripenso ai temporali di cui hai raccontato non ricordo più in che post, o alla vita più libera che potevi condurre da bambina tra una casa e l'altra. tutto questo diventa storia, come l'hai raccontata a noi.
    io non so perchè ma non trovo nella mia mente molte cose da raccontare ai miei figli di quando ero piccola. i miei ricordi sono confusi, contornati da emozioni complesse.... però sono molto d'accordo con quello che scrivi. raccontare le storie personali, aneddoti della vita propria è un bel modo per stringere ancora di più il laccio della familiarità, che così si espande e travalica il presente e ciò che i loro occhi possono osservare da soli. chiederò anch'io a mio padre, che è un buon narratore...
    grazie, come sempre, di lasciare i tuoi pensieri qui, alla nostra portata!

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  4. Grazie Serena!, grazie della tua sensibilità nel apprezzare i miei pensieri, le mie impressioni. Mi fa piacere che possano essere da spunto per ricordarci che ci sono tanti modi di avvicinarci ai bambini... ti abbraccio.

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