Cominciamo dall'inizio. Oggi, avendo appena superato il chiamato "secolo dei bambini", nel quale si è lungamente sviluppata l'attenzione verso il mondo dell'infanzia e la creazione di oggetti e prodotti appositi per i bambini, abbiamo forse perso di vista l'origine di tutto questo. Per noi è abitudine, oramai socialmente riconosciuta ed accettata, portare i nostri piccoli al nido, farli fare i più svariati e variopinti "laboratori" e regalarli "giochi creativi" o "giochi didattici". Oramai abbiamo assunto come verità quasi indiscussa che "il gioco è uno strumento educativo", che "attraverso il gioco il bambino impara" o che "il gioco per i bambini è una cosa molto seria". Ma da quando abbiamo questa consapevolezza?.
L'attenzione pedagogica alla prima infanzia inizia
con Rousseau e Pestalozzi. Stiamo nella seconda mettà del settecento, in pieno illuminismo. Da loro siamo debitori di una visione del bambino positivista, e dall'ultimo di una visione del bambino non come un oggetto passivo, ma come soggetto attivo della propria educazione partendo dalle sue intuizioni.
Ma è merito di Friedrich Fröbel (1782-1852), giovane che aveva lavorato insieme a Pestalozzi, la traduzione di queste intuizioni pedagogiche in istituzioni scolastiche. E' stato lui a fondare il primo “giardino generale tedesco
dell'infanzia” a Blankenburg nel 1840, ed è stato lui ad assumere il gioco come strumento educativo. Personaggio affascinante, ha avuto il grande merito di aver compreso la ricchezza
e la vitalità dell’infanzia e di aver visto in essa una preziosa riserva di saggezza e di vita, alla
quale è bene che gli adulti attingano.
Ma agli effetti della mia umile ricerca in quanto architetto, e quindi interessata alla "materia", vorrei soffermarmi soltanto ai suoi "doni".
Il termine tedesco Spielgaben è stato tradotto in inglese come "gifts", in italiano "doni di gioco" o sempllicemente "doni". Ho trovato questa interpretazione che mi sembra molto bella: "Credo che una più
interna versione di Gaben possa
essere “etwas gegeben” cioè “qualcosa che
si dà” (cioè le cose che si danno) per giocare, vale a dire oggetti per
un’attività che - nel caso dell’infanzia - si manifesta nel gioco".
http://www-5.unipv.it/lezcose/index.php?view=oggetto&l=ita&id=48 |
Presto divennero molto populari ed ancora oggi sono in produzione.
Questi oggetti avevano un alto contenuto metafisico e simbolico. Attraverso la manipulazione di queste forme perfettamente geometriche Froebel pretendeva che il bambino arrivasse al "presentimento" del concetto di "Unità", un'idea che torna spesso nella sua concezione pedagogica e che ha a che vedere con l'intuizione dell'idea di Dio. E' stato questo l'aspetto che ha determinato poi una distanza critica verso i doni da parte delle sucessive generazioni di pedagogi, iniziando dalle sorelle Agazzi. Ma rimane innegabile la loro grande validità didattica anche volendo eliminare tutti i contenuti simbolici che essi racchiudevano. Cioè la loro validità in quanto "cose".
D'altronde da un punto di vista strettamente estetico e formale sono meravigliosi. Le loro dimensioni sono perfettamente in rapporto alle capacità dei piccoli di manipolarle e nel progredire dell'offerta passano da una manipolazione che pretende il riconoscimento della forma allo sviluppo di una motricità fine. E infine la loro perfezione geometrica e la loro qualità tattile è quello che li rende ancora oggi perfettamente contemporanei.
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