Per fare un acquedotto ci vuole... 3/3


26.6.15

Questo post è la conclusione del racconto del laboratorio per bambini della scuola materna di 4 e 5 anni  sugli acquedotti romani.  Ci è voluto un po' per scriverlo, ma mi ero promessa che entro la fine di quest'anno scolastico lo avrei fatto... e come vedete sono riuscita a mantenere l'impegno! (a pochi giorni dalla chiusura della scuola, ma comunque ce l'ho fatta no?).  In compenso questa volta lo accompagno con le immagini di ciò che è stato.

Ringrazio le maestre Anna, Patrizia, Loredana, Daniela, Tiziana e Anna Ricci per il supporto, la fiducia e per darci l'ocassione di condividere i nostri saperi con i bambini.


Ho già raccontato negli articoli anteriori come è iniziato il percorso dei laboratori per la scuola d'infanzia dei miei figli sugli acquedotti romani.  Abbiamo cominciato a parlare dei mattoni, di cosa e come sono fatti, dei loro vantaggi nell'edilizia  e dell' uso diffuso che gli antichi romani ne hanno fatto come materiale costruttivo.  In seguito abbiamo cercato di costruire noi stessi con i mattoni sperimentando la realizzazione di un muro e della sua apertura e scoprendo l'arco come artificio costruttivo che permette la creazione di vani di grandi dimensioni. L'obiettivo di questa lunga premessa non era certo cominciare a formare piccoli architetti ma trasmettere ai bambini l'idea che la conoscenza e il perfezionamento delle tecniche costruttive è stato un processo lento e graduale che si è sviluppato nel tempo  arrichendosi con nuove scoperte dovute al caso, all'intuizione o al errore.  Mi interessava quindi non tanto parlare di architettura degli antichi romani fornendo un catalogo d'immagini di monumenti significativi ma piuttosto mostrare i processi che hanno permesso che questi si potessero sviluppare.  Ho cercato di dare quindi strumenti semplici ed intuitivi che ci facessero capire le difficoltà costruttive per poter comprendere il valore delle soluzioni innovative sviluppate allora. 

Perchè gli acquedotti?  Devo dire che la scelta è stata abbastanza aleatoria.  Inanzitutto è stata una richiesta delle maestre che in maniera consapevole o no, me lo hanno suggerito.  Ma indipendentemente dalle motivazioni della scelta ho trovato che gli acquedotti erano infatti un ottimo esempio per diversi motivi.  Il primo è che spogli di qualsiasi intenzionalità di rappresentanza gli acquedotti si presentano nella loro purezza formale, cioè  la loro definizione e dimensioni risponde esclusivamente a esigenze di tipo costruttivo, non decorativo.  La seconda è che gli acquedotti rappresentano un esempio interessantissimo non solo da un punto di vista edile ma soprattutto urbano.  Attraverso il loro studio possiamo comprendere che cosa significava per gli antichi romani vivere in città. L'acqua, elemento vitale, era a disposizione di tutti i cittadini attraverso le fontane pubbliche (come ancora oggi), nei bagni pubblici (le terme) ed era anche pulita ( è cosa nota, l'acqua di Roma era conosciuta per questa caratteristica).  Ma come sono riusciti a portare l'acqua in città?

Per fare un acquedotto ci vuole... sapere un po' d'idraulica!

Senza pompe idrauliche, senza elettricità, per portare l'acqua da una parte all'altra gli antichi romani semplicemente sfruttavano la gravità, cioè la semplice constatazione che le cose, in forma naturale, scendono.  Anche l'acqua.  Dunque il principio fondamentale che regola la costruzione degli acquedotti è il fatto che bisogna portare l'acqua da un punto in alto fino ad uno in basso.  In linea generale nella realtà la cosa doveva essere possibile visto che le sorgenti, cioè il punto da dove bisognava prendere l'acqua, si trovavano sulle colline e la città, in questo caso Roma, si trovava a valle, in basso.  Ma quanto più in basso?

















La differenza di altezza da un punto all'altro determina una inclinazione  chiamata pendenza grazie alla quale è possibile che un elemento in alto scorra verso il basso.  Nel caso dell'acqua, essendo un liquido, la pendenza che serve per farla scorrere è veramente pochissima, basta abbassare appena appena un po' uno degli estremi e l'acqua scende.  Per la precisione la pendenza che serve è del 1%, cioè per ogni 100 cm percorsi in orizzontale (1 metro) si scende 1 cm in verticale.  Per maggiore sicurezza i romani utilizzavano una pendenza del 2% (ogni metro si scendeva 2 cm) che però doveva essere costante, quasi invariabile lungo tutto il percorso, per mantenere lo stesso flusso del liquido.




















Bene, fino a qui sembra tutto molto facile.  Ma è così semplice il paessaggio che ci sta attorno?, liscio, constante, senza interferenze?.  Non ci sono montagne, valli, fiumi che forse bisogna attraversare se un punto dista dall'altro diversi chilometri?.

Non era sempre tutto liscio, vi pare?, sennò gli acquedotti non sarebbero stati una grande invenzione degli antichi romani.  Lungo il percorso c'erano valli e discese.  Abbiamo visto che è facile far scorrere l'acqua verso il basso, ma come fare per portarla in alto?, l'acqua può risalire?.


Immaginiamo che un lungo tubicino di plastica è il percorso che deve fare l'acqua e un imbuto è la sorgente.  Proviamo a spostare il tubicino facendolo girare a fare un percorso complesso con discese e risalite.  Come si muoverà l'acqua all'interno?. Riusciamo a portare l'acqua in alto?

Con grande stupore dei bambini abbiamo verificato come i liquidi risalgono all'interno di un condotto, ma fino a dove?.  E' molto semplice:  esattamente fino allo stesso livello del punto di partenza.  Si tratta di un principio fisico che gli antichi romani conoscevano molto bene e che viene denominato sifone inverso o sifone invertito, tra questi due modi potete chiamarlo come preferite.




















Questo principio fisico era ben conosciuto nell'antichità, gli egiziani lo utilizzavano per definire i livelli orizzontali nelle costruzioni ed è talmente semplice ed infallibile che ancora oggi viene utilizzato nei cantieri contemporanei.

L'acqua quindi poteva superare valli, discese e fiumi, l'unica accortezza necessaria era che il punto di arrivo doveva essere posto leggermente più in basso rispetto al punto di partenza, permettendo così uno scorrimento continuo.

C'è da dire allora che quello che noi vediamo e riconosciamo come "acquedotto" è solo una piccolissima parte di tutto il percorso che l'acqua doveva realizzare per arrivare in città, la maggior parte di esso si sviluppava sotto terra, escavando e inserendo tubazioni di piombo dentro le quali passava l'acqua.











Una nota interessante che abbiamo potuto verificare anche in aula è il sistema di depurazione delle acque.  I romani erano scrupulosi nella scelta delle sorgenti perchè valutavano non solo la sua posizione geografica ma anche la qualità delle acque:  la sua purezza, il suo sapore, la sua temperatura, ecc.  Ma non bastava.  Nel percorso (a volte di diversi chilometri) le acque portavano con sè sedimenti, terra, diverse impurità.  Per depurare l'acqua lungo il percorso degli acquedotti esistevano le piscinae limariae, cioè vasche di depurazione che funzionavano con un principio
 molto semplice.



















Abbiamo fatto l'esperimento in classe:  sulle pareti di un contenitore di plastica abbiamo praticato un foro in alto  al quale abbiamo attaccato un tubicino di plastica.  Versando dell'acqua molto sporca (piena di sassolini) abbiamo visto come le parti solide restavano sul fondo del contenitore, mentre quando questo si era riempito l'acqua che passava attraverso il tubicino era pulita.

E adesso che abbiamo imparato come funzionavano gli acquedotti possiamo farne uno anche noi no?...







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